Se ripercorriamo la storia della vita sulla Terra, troviamo che tutti i vertebrati terrestri, anfibi, rettili, uccelli e mammiferi discendono da antichissimi progenitori acquatici, da un ramo particolare del grande gruppo dei pesci.
Col passare dei millenni, ben poca traccia è rimasta di queste remote origini. Ogni ritorno al mare, cioè alla vita acquatica, rappresenta quindi, per un mammifero, un problema molto serio. Deve inventare di nuovo le pinne e deve trovare un modo per
respirare con i suoi polmoni, che hanno preso il posto delle branchie dei suoi antenati acquatici.
Queste difficoltà sono grandi, ma non sembrano insormontabili, se è vero che almeno tre gruppi diversi di mammiferi sono ritornati al mare, adattandosi mirabilmente ad un ambiente che non era più il loro.
Un gruppo è quello dei Pinnipedi, cioè foche, otarie e trichechi, che sono strettamente imparentati con i carnivori terrestri, come gli orsi, i cani ecc.
Il secondo gruppo è quello dei Sirenidi, che comprende poche specie tropicali, il dugongo dell’oceano Indiano e le tre specie di lamantini, che vivono nei fiumi e nelle acque costiere.
I maschi di questa specie possono raggiungere i 20 metri di lunghezza e le 50 tonnellate di peso. Il loro aspetto è impressionante, con l’enorme testa piena di sostanze oleose (spermaceti) che sovrasta la larga bocca ed i minuscoli occhietti.
La sua indole è però assai pacifica e chi deve temerlo sono solo le sue prede, per inseguire le quali riesce a immergersi anche a 1000 metri di profondità: impresa eccezionale per un mammifero, che deve tornare a galla per respirare!
Sembra infatti che il capodoglio possa rimanere immerso per oltre un’ora, mentre il delfino deve ritornare in superficie a prendersi una boccata d’aria dopo un soggiorno massimo di otto minuti sotto il pelo delle onde.
Altrettanto ben adattate alla vita del mare sono le balene e le balenottere. In questi giganti del regno animale i denti mancano del tutto. Al loro posto vi è una fitta frangia di lunghe stecche conee, i fanoni che permettono all’animale di filtrare l’acqua, trattenendo i piccoli crostacei che vi si trovano quasi ovunque in numero enorme.
I giganti del mare, infatti, si nutrono di prede relativamente minuscole, in particolare di quei piccoli gamberetti che i balenieri conoscono sotto il nome di krill.
Anche presso le foche, come nell’ambito dei cetacei, troviamo dei pacifici mangiatori di gamberetti accanto agli agguerriti predatori. Lungo le gelide rive del continente antartico, per esempio, possiamo incontrare sia la foca leopardo, feroce cacciatrice di pinguini.
Un loro cugino, il robusto e baffuto tricheco delle regioni artiche, si nutre invece di molluschi: per scovarli, fruga nei fondali marini servendosi delle due lunghe zanne, ricurve verso il basso, che gli
pendono dalla mascella superiore.
Le altre foche, infine, si nutrono soprattutto di pesci e di calamari, che inseguono agilmente sott’acqua. A differenza dai cetacei, i pinnipedi possiedono due paia di pinne: tanto le zampe anteriori quanto le zampe posteriori, infatti, si sono trasformate in organi utili agli spostamenti nell’acqua. La loro coda, invece, è praticamente scomparsa.
A terra, le foche e i trichechi sono estremamente impacciati; non cosi le otarie, che spesso vediamo nei giardini zoologici o anche nei circhi, impegnate in difficili acrobazie.