E’ difficile immaginare quanto arretrate fossero le nostre conoscenze sulla struttura degli esseri viventi prima dell’invenzione del microscopio. Moltissime idee che oggi sono a tutti familiari sono in realtà il frutto di lunghe e pazienti osservazioni compiute con strumenti ottici spesso rudimentali e di acute riflessioni sul significato di quel che le lenti avevano lasciato intravedere.
Tutti sanno, ai giorni nostri, che gli esseri viventi sono costituiti da cellule, ciascuna delle quali rappresenta una piccola unità a sé stante, provvista degli attributi essenziali della vita: ogni cellula è in grado di nutrirsi, di accrescersi e, soprattutto, di riprodursi, dando origine a due individui uguali a se stessa.
È difficile, tuttavia, immaginare una delle cellule del nostro fegato o del nostro cervello separata dai miliardi e miliardi di altre cellule che insieme con lei formano la compagine di un organo e con le cellule degli altri organi, l’intero corpo umano.
Ogni cellula, in realtà, è specializzata per l’adempimento di determinate funzioni, che sono diverse a seconda che si tratti delle cellule del fegato o di quelle del cervello, delle cellule che tappezzano lo stomaco o di quelle che viaggiano libere nel sangue, come i globuli rossi e i globuli bianchi.
Perché l’organismo funzioni, occorre che tutte le cellule, ciascuna al suo posto, assolvano bene i rispettivi compiti.
Ci sono però degli esseri viventi minuscoli, il cui corpo è costituito da un’unica cellula. Non è difficile vederli, è solo necessario avere a disposizione un microscopio, anche se di potenza modesta.
Basterà allora prendere una goccia d’acqua da uno stagno o da una pozzanghera, versarla su un vetrino porta-oggetti, coprirla con un altro vetrino più sottile e porla infine sotto le lenti del nostro strumento. Di sicuro vedremo dei piccoli punti luminosi sfrecciare da un capo all’altro del nostro campo d’osservazione; vedremo affaccendarsi altre minuscole creature tra i fili verdi delle alghe prelevate nello stagno o tra i minuscoli frammenti di vecchie foglie che marcivano nell’acqua.
É questo, il nostro incontro con i protozoi, gli animaletti-cellula.
Moltissimi protozoi vivono in acqua, sia nel mare che nei fiumi, nei laghi e anche nelle pozze che disseccano in capo a pochi giorni. Molti, invece, vivono da parassíti nel corpo di altri animali, come il plasmodio della anemia, oppure il tripanosoma, che causa la grave malattia del sonno.
Questi due protozoi conducono buona parte della loro esistenza nel sangue dell’uomo e sono molto piccoli: il plasmodio della malaria può compiere un’intera generazione all’interno di un globulo rosso, che a sua volta è una delle cellule più piccole del corpo umano, essendo in un dischetto con un diametro di 7 millesimi di millimetro!
Come fanno i protozoi a passare da una vittima all’altra, essendo in un certo modo prigionieri del sistema circolatorio dell’individuo che li ospita? Utilizzano come vettori degli animali alati, che si
nutrono di sangue: si tratta della zanzara anòfele nel caso del plasmodio, e della mosca tzetzè nel caso del tripanosoma.
Assieme al sangue di cui si nutrono, infatti, questi insetti possono aspirare i minuscoli protozoi, quando pungono un individuo infetto, rispettivamente, da malaria o dalla malattia del sonno.
Tripanosomi e plasmodi non vengono però digeriti dall’insetto, ma nel corpo di questo si moltiplicano, portandosi poi nelle voluminose ghiandole salivari della zanzara o della mosca.
Qualche giorno più tardi, il ciclo si concluderà.
Ogni volta che punge un uomo per succhiarne il sangue, infatti, l’insetto riversa nella ferita una goccia di saliva, utile a mantenere più fluido il i sangue della vittima per tutto il tempo necessario a o succhiarlo. E cosi, se il protozoo parassita ha avuto il tempo di raggiungere le ghiandole salivari della zanzara o della mosca, verrà letteralmente «sputato» nel sangue di una nuova vittima, dove avrà spazio per moltiplicarsi.
Le amebe
Tutte queste acrobazie non sono necessarie ai protozoi che vivono liberi nell’aria. A loro è sufficiente trovare risposta a due problemi abbastanza semplici: muoversi e nutrirsi. Le soluzioni a questi problemi, tuttavia, sono molte e varie. Ci sono innanzitutto le amebe, che si muovono assai lentamente in verità mediante un sistema molto semplice, primitivo. Esse vivono in acqua, ma sempre a contatto con qualche oggetto solido e sopra di esso strisciano lentamente, cambiando continuamente di forma: ora allungano una protuberanza in avanti, ora si accorciano assumendo la forma di una pallina irregolare, ora di nuovo protendono uno o più pseudopodi carnosi e tra sparenti, cosi come carnosa e trasparente è tutta l’ameba.
A volte queste protuberanze vengono protese a circondare un frammento d’alga o un’altra particella commestibile: lentamente, gli pseudopodi sono tutto attorno al piccolo oggetto che si trova cosi inglobato nel corpo dell’ameba, dove verrà digerito.
Se avremo pazienza di osservare al microscopio tutta la vicenda, vedremo il pezzetto di cibo cambiare colore, per effetto dei succhi digestivi, e poi a poco a poco sparire, assimilato a formare ormai parte integrante dell’ameba.
I parameci
Ben più attivi di questa loro cugina sono altri protozoi, come i parameci, il cui corpo pur essendo sempre formato da una sola cellula è relativamente grande, potendo raggiungere un terzo di millimetro! E’ un puntino bianco già visibile controluce nell’acqua, almeno per chi è miope come me.
I parameci sembrano sempre affaccendati, nei loro movimenti un po’ scattanti, che compiono grazie alle numerosissime ciglia che li rivestono: queste ciglia sono una sorta di piccoli peli che possono muoversi velocemente nell’acqua, e che fanno avanzare il paramecio in un modo simile a quello dei remi che spingono una barca. Queste ciglia dire il vero, non è molto facile vederle, soprattuto quando il paramecio è in movimento. Nei momenti in cui è fermo, però, possiamo osservarle a nostro agio e vedere che su di un fianco le ciglia sono più brevi e sembrano circondare una specie di imbuto: è l’anticamera della minuscola bocca del nostro protozoo, sempre affamato di batteri e di minuscole alghe.
Al posto di un intero mantello di ciglia, altri protozoi hanno soltanto uno o due piccoli peli, che vengono chiamati flagelli, da una parola antica che vuol dire frustini: il movimento di un flagello nell’acqua, in effetti, sembra proprio quello di una frusta appena fatta schioccare.
I protozoi provvisti di flagello sono spesso piccolissimi, un millesimo di millimetro o giù di li; in compenso, il loro numero è sterminato, in ogni goccia d’acqua.
Ma cosa mangiano?
Una bocca non ce l’hanno e difficilmente si troverebbe un boccone piccolo abbastanza per loro. Sono quasi tutti colorati, però, di verde, di giallo, di bruno o di rosso e le piccole quantità di pigmento, cioè di sostanza colorata, che contengono è sufficiente a catturare per loro un briciolo di energia luminosa, così come fa la verde clorofilla delle piante; ed a pari delle piante questi piccoli protozoi utilizzano l’energia luminosa per fabbricarsi gli zuccheri e le altre sostanze di cui hanno bisogno.
Sono piante, allora?
Prima di rispondere di si. e meglio controllare come se la cavano in caso buio prolungato: molti di essi impallidiscono, perdono i loro bei colori, ma in compenso si mettono ad assorbire gli zuccheri e qualche frammento commestibile presente nei pressi; insomma, si comportano da animali.
Forse, a livello di esseri viventi formati da una singola cellula, il regno animale ed il regno vegetale hanno ancora confini ben precisi.